Chi è il protagonista del racconto di J.K? Lo avete riconosciuto?

sabato, 25/05/2019 21:05 da talpa 1 commento »

Nero come la pece. Era completamente nero: aveva gli occhi neri, i capelli neri, la barba nera. Aveva preso anche a vestirsi completamente di nero, come se ciò che indossasse avesse il potere di inghiottirlo e di farlo sembrare un’unica massa informe, irriconoscibile agli altri. Come se poi gli altri avessero avuto la capacità di capire e di riconoscere le sue qualità. Che senso ha rendersi riconoscibile, quando alle persone non interessa sapere tu chi sei, ma come appari? Vogliono l’apparenza e avranno solo l’apparenza. Avrebbe deciso lui cosa mostrare e a chi, e a tutti coloro che avessero visto in lui solo il nero, lui non avrebbe fatto nulla per fargli cambiare idea, anzi, avrebbe detto:”Bravi, avete capito tutto! Anzi vi dirò di più, state attenti, perché non sono solo io ad essere nero, ma lo è anche la mia anima e chiunque entra in contatto con me, viene contaminato e diventa nero pure lui”. Questo era il solito pensiero che si ripeteva quando voleva tenere qualcuno lontano. È più facile quando le persone sono lontane.

 

Quando c’è distanza tra te e loro, hai più tempo per capire se ti vogliono fare del male e magari ci provi a trovare il modo di impedirglielo. Quando invece le persone sono troppo vicine, non ce la fai nemmeno a domandarti se quello che vogliono è il tuo bene o il tuo male, che già ti hanno colpito. E a quel punto è colpa tua, perché sei tu che le hai fatte avvicinare, hai fatto sì che vedessero più del tuo nero. Solo il nero. Il nero è silenzio, ma è un silenzio assordante, è onnipresente, è quello che scegli di utilizzare in risposta al rumore che fanno gli altri, il caos. Il rumore serve alle persone vuote, per riempirsi. È tutto il baccano che le persone fanno per evitare di fermarsi ad ascoltare, a capire e a far capire agli altri che dentro di loro non c’è altro che il vuoto. Il rumore è l’arma di chi ha paura. Urlano e fanno paura, così che, tutte le persone che hanno ascoltato il rumore, spaventati, sono concentrati sulla propria paura e non pensano a quella degli altri, a quella di chi ha urlato e quindi urlano di rimando. Il rumore è l’arma di chi non ha niente da dire. Lui invece stava bene nel suo silenzio, si ascoltava, si bastava. Nel buio c’è il silenzio e il buio è nero. Lui era nero. Ma per stare al mondo, ci vuole il rumore, soprattutto il rumore,  e allora li accontentava. Ogni tanto si omologava agli altri, faceva quello che facevano gli altri e lo faceva pure bene. Le persone impazzivano, pensavano che fosse un animale raro, un essere speciale che aveva deciso di parlare per impartire qualche lezione. Ma loro non lo sapevano, che era lui a decidere cosa dire e quando dirlo. Era lui che decideva quale e quanto rumore fare e solo a chi non avesse avuto paura del nero, a chi avesse avuto voglia  di vedere i colori che c’erano nella sua anima, a chi avesse avuto il coraggio di attraversare il vortice, dedicava il suo rumore più bello, che diventava musica, ma per tutti gli altri era solo nero. Era nero, ma amava il bianco, ci passava la maggior parte del suo tempo e gli piaceva il modo in cui i due colori si fondevano: bianco e nero. Gli piaceva il miscuglio che ne veniva fuori, perché sebbene i due colori si abbracciassero e facessero capriole, restavano comunque distinguibili e non si confondevano mai. Quindi quello che vedeva, quando i due colori si univano, non era il grigio, spento, piatto, tipico delle personalità prive di spessore; vedeva semplicemente il bianco e il nero. Anche lui era così. Per lui non esistevano le sfumature, le seconde possibilità. Lui stesso non se ne sarebbe concesse molte. Era intransigente, alla ricerca di una perfezione che sapeva di non poter raggiungere, ma verso cui tendeva costantemente. Per lui non era contemplato l’errore, piuttosto preferiva tacere, riflettere e agire solo quando era sicuro che le sue azione avrebbero cambiato la storia. E se per lui non esistevano seconde possibilità, allora non ne avrebbe concesse nemmeno agli altri. O eri dentro o fuori. Aveva la capacità di cancellare dalla sua vita, chi si arrogava il diritto di prendersi gioco di lui. A loro non riservava un trattamento così tanto distante dall’indifferenza, anzi, se li lasciava alle spalle, senza strascichi e l’unica cosa che, gli ipocriti, ricevevano da lui era il silenzio e il silenzio era nero. Lui era nero e sapeva che con il suo modo di fare si sarebbe reso incomprensibile, indecifrabile agli occhi dei più, ma ne era contento, consapevole che chi fosse riuscito a leggergli l’anima, l’avrebbe fatto con la stessa riverenza di chi si accosta ai manoscritti di altri secoli, dal valore inestimabile, in modo da metterne in risalto, di conseguenza anche il suo. Era consapevole del fatto che solo qualcuno sarebbe stato in grado di capirlo davvero, ma lui, con il suo nero, era felice di essere per pochi, evitando il rischio di essere per tutti e solo se si fosse trovato di fronte una persona capace di vedere oltre il suo nero, allora lui avrebbe permesso di far entrare nella sua anima anche la luce.

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  1. giorgiabg il 27/05/2019 21:46

    Mark Caltagirone (iupp)

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